Se non puoi vivere senza di lei…
Il Femminicidio non è la risposta.
di Flavia Sagnelli
Femminicidio. C’è voluto un termine relativamente nuovo, un neologismo per identificare qualcosa di antico come il mondo.
Femminicidio è solo una parola, ma pesa come un macigno per tutto quello che racchiude, per l’universo terribile e malato rinchiuso nel suo nucleo.
Femminicidio è quel modo per spiegare con una sola parola tutto il male che si può fare ad una donna per il suo essere donna.
Femminicidio, è quella parola che ci racconta in quanti modi si può uccidere una donna.
Con la violenza sistematica, sia fisica che psicologica; con l’annientamento dell’identità, della personalità e della libertà; con l’assoggettamento mentale e fisico; con la tortura, la schiavitù, la morte; con il furto con scasso della gioia, della vita, del futuro, dell’entusiasmo, dell’incanto, della fiducia; una donna si uccide portandole via i suoi figli, portandole via la sua stessa essenza.
Di femminicidio si parla tanto, tantissimo. Troppo, il che significa che i dati sono in aumento, che le statistiche sono impazzite, che il famoso vecchio dato di “1 a 3” riguardo alla percentuale di donne che hanno subito violenza è assolutamente impazzito e quella freccia immaginaria che oscilla dall’uno ad un altro numero a caso sembra confusa come quando si rompe il galleggiante del serbatoio e non sappiamo più quanta benzina abbiamo.
La benzina però c’è, quella che ci serve per andare avanti e fare in modo che questa realtà tremenda, questa verità lacerante cambi, finalmente.
Ed è urgente, perché il dato più allarmante di tutti è che negli ultimi anni il femminicidio si è esteso alle generazioni più giovani.
E’ di pochi giorni l’ultima notizia riguardante la fine di una giovane ragazza, uccisa, incendiata e gettata in un burrone. Si indaga sul fidanzato. Non sono qui per sentenziare al posto o prima di un giudice.
Sono qui per riflettere, per tentare di capire, insieme, cosa accade in questo mondo e come poter riportare l’ago della bussola sulla giusta direzione.
Questa non è la prima notizia di femminicidio tra i giovanissimi e ciò porta alla luce e deve portare all’attenzione qualcosa di importante e non procrastinabile: i ragazzi di oggi non sanno gestire le emozioni e non hanno la capacità di accettare un rifiuto, inteso come sconfitta.
In altre parole, i nostri giovani non sanno perdere. Questo porta loro frustrazione, rabbia, impulsi violenti contro l’oggetto del desiderio, contro ciò che si vuole “vincere”.
Come un bambino piccolo che non accetta che il suo gioco preferito gli venga portato via da un compagno di classe o che manda all’aria la torre di costruzioni che ha cercato di costruire con tanto amore a causa di un impulso di rabbia cieca dovuto dalla frustrazione data da, magari, un mattoncino crollato.
Ma qui non si parla di un gioco, ma di giovani vite umane spezzate, di meravigliosi occhi innocenti ed illusi che vengono spenti, della favola più bella di tutte che è l’amore adolescenziale, che viene trasformata in un racconto del terrore.
Come, mi chiedo, come un ragazzo che vive gli anni che dovrebbero essere i più gioiosi e spensierati della propria vita, possa arrivare ad usare le mani, le armi, la violenza. Come una giovane vita pura può arrivare ad ucciderne un’altra?
Nulla mi toglie dalla mente che la responsabilità sia sociale e culturale.
Siamo tutti colpevoli quando un giovane finisce in carcere per aver tolto la vita ad una sua pari.
Abbiamo tutti le mani sporche di sangue innocente.
Un giovane che non può far altro che trasformare il proprio dolore in violenza e rabbia è solo il prodotto inconsapevole di una società malata, di una realtà in cui è normale reagire con violenza, rimanere indifferenti davanti ad un’ingiustizia ed impuniti (o poco efficacemente puniti) quando si sbaglia; è un’anima sola incapace di orientarsi e gestirsi e quando l’anima non ce l’ha più è perché gli abbiamo insegnato noi che si sopravvive attraverso la sopraffazione del prossimo, la violenza e che nessuno è più pari di nessuno, ma siamo tutti cacciatori e prede.
Ed ecco perché l’eccitazione sessuale diventa possesso, la forza maschile prepotenza, il rifiuto fa da detonatore di una bomba destinata ad esplodere, perché quando il materiale infiammabile si chiama fragilità, ignoranza ed assoluta incapacità di individuare il confine tra bene e male, quella bomba esploderà di certo. E’ solo questione di tempo.
Ad un quadro come questo va aggiunto un pezzo di puzzle che chiude quel cerchio di violenza in maniera dolorosamente perfetta: l’incapacità di una giovane donna, rispetto ad una donna adulta e più esperta, di riconoscere i segnali di pericolosità del partner.
Tutti siamo stati adolescenti e non possiamo dimenticare quella tendenza naturale all’errore, alla ribellione rispetto alle regole, soprattutto quelle dei genitori, all’indifferenza rispetto ai loro consigli, al voler dimostrare che avevamo ragione a tutti i costi, per poi accorgerci che raramente era vero.
Tutto ciò, al giorno d’oggi, deve fare i conti con una maggiore e pericolosa libertà, con una maggiore facilità di accedere a sostanze alcoliche e stupefacenti, alla (inesistente alla nostra epoca) possibilità di essere continuamente connessi con il mondo esterno senza controlli e dunque alla sicuramente maggiore possibilità di venire influenzati da persone e condotte più disparate e potenzialmente infinite.
La nostra società è pericolosa perché sforna potenziali eserciti di giovani destinati ad essere vittime e carnefici, perché mandati al mondo senza istruzioni.
E’ pericolosa, perché siamo tempestati di notizie che raccontano di uomini che uccidono le donne; di mariti che tolgono la vita alle mogli perché non sopportano di essere lasciati o sostituiti – come se innamorarsi di qualcun altro significasse sostituire asetticamente qualcosa, una sorta di guarnizione del rubinetto che perde – di uomini che uccidono le amanti quando diventano troppo ingombranti, sia sentimentalmente che fisicamente (…sì, mi riferisco alla gravidanza dell’amante, rea, solo lei, di non aver fatto attenzione); di figli che uccidono le madri per qualche spicciolo.
E queste notizie non sono mai accompagnate da un sistema che supporti la popolazione, soprattutto quella giovane, nella comprensione dei perché, delle dinamiche, di cosa sia giusto o sbagliato.
Le notizie sono lanciate come bombe, continuamente, senza curarsi delle conseguenze.
Senza rendersi conto che non si fa altro che alimentare questo senso di prevaricazione, possesso, proprietà, padronanza di un uomo rispetto ad una donna.
Ci si indigna, ma si persevera.
La lotta eterna tra Bene e Male è squilibrata, perché il Bene è sempre assente da questi racconti. La bilancia pende verso il dolore, il marcio, la morte senza che sull’altro piatto si metta qualcosa che dia strumenti per capire e gestire certi sentimenti e dare una chance al Bene.
C’è bisogno di informazione. C’è bisogno di sostegno. C’è bisogno di umanità.
Perché senza tutto questo i nostri ragazzi saranno anime perse in un mondo cattivo.
Insegnamolo a scuola, insegnamolo nei luoghi di lavoro, insegnamolo in televisione, insegnamolo ovunque che sentirsi fragili, arrabbiati, persi è normale ma che una donna non si tocca, mai.
Per favore, insegnamolo.
Per concludere questa frase nell’unico modo in cui dovrebbe essere conclusa:
Se non puoi vivere senza di lei, non prendertela con lei.
Se l’amore è finito, rispettalo.
E rispettala.
L’Amore non ammette e non ama violenza.