Con tatto

Con tatto

di Flavia Sagnelli

 

Perché c’è il Covid-19

 

Ci sono storie che non si vorrebbero mai raccontare, perché il solo fatto che siano accadute crea un dolore troppo forte.  Esistono realtà che non andrebbero vissute, perché si ha l’impressione che il “poi” venga totalmente privato di ogni significato. Queste storie strazianti, dolorose ed anche ingiuste hanno la tremenda capacità di farci sentire insignificanti ed impotenti di fronte ad un mondo che gira indifferente nonostante tutto e nonostante noi.

Di queste storie è piena l’umanità, ma oggi ho il difficile compito di raccontarne una in particolare.

Era la fine dello scorso mese quando il mio Collega ed Amico, avvocato Tommaso Rigamonti, molto impegnato nella realtà di WE, mi raggiunge al telefono per chiedermi se attraverso questa nostra associazione avrei potuto fare qualcosa per dare conforto a papà Vincenzo, suo assistito, il quale aveva una storia da raccontare da far tremare i polsi a chiunque.

Mi faccio quindi raccontare cosa fosse accaduto, pronta a farmi venire un’idea che potesse aiutare questa persona, ma mai immaginando cosa avrei ascoltato.

Si trattava proprio di una di quelle storie, una di quelle che Tommaso non mi avrebbe mai voluto raccontare e quelle di cui non vorrei mai scrivere.

Ma certe cose, invece, vanno dette e vanno sapute, perché se anche una goccia nel mare può fare la differenza, allora da una piccola realtà come la nostra si può fare in modo che sapere e conoscere possa evitare che la felicità si trasformi in disperazione, che il futuro immaginato non sia diverso da quello che ci aspetta e che salvare una vita diventi possibile.

Questa è la storia di due persone che sono diventate una famiglia in tempo di pandemia.

Era il mese di marzo, il primo lockdown delle nostre vite era appena iniziato tra confusione ed incertezze quando i cuori di Vincenzo e Susanna si riempirono di gioia ed amore alla notizia che sarebbero diventati mamma e papà. I bambini lo fanno sempre, riescono sempre a trasformare qualunque cosa in meraviglia.

E così le settimane in quarantena passavano e la pancia di Susanna cresceva, tra ecografie in mascherina e quella paura di un virus sconosciuto che veniva spazzata via dalla più straordinaria delle prospettive future.

Papà Vincenzo e mamma Susanna uscirono dal lockdown accarezzando l’idea di una vita a tre ed una pancia in cui stava crescendo un maschietto.

Quella del 2020 è stata la prima estate del piccolo Luigi insieme a mamma e papà, al sicuro accanto al cuore di Susanna e già dentro quello di Vincenzo.

La quarantena era finita, il sole splendeva, la gioia di un timido ritorno a qualcosa di simile alla normalità si aggiungeva a quella felicità strabordante dovuta all’attesa dell’autunno, in cui finalmente gli occhi del piccolo Luigi avrebbero incrociato per la prima volta quelli dei suoi genitori.

Con l’arrivo dell’autunno tornò l’ombra del virus. Un’ombra che ha oscurato quel caldo e bel sole estivo insieme ai cuori e le menti delle persone e di chi dovrebbe guidarci ed impedire che accadano certe cose.

Era la mattina del 6 ottobre, Luigi era atteso di lì a due settimane quando mamma Susanna si svegliò in preda a fortissimi dolori alla testa, tanto da non riuscire più a parlare.

Da quel momento il tempo per papà Vincenzo cambiò velocità: non era più scandito dalle settimane che passavano né dal lento aumentare del pancione di Susanna, ma diventò veloce, velocissimo, impossibile da poter seguire o inseguire.

In un attimo furono sirene, paramedici, ambulanze in cui papà Vincenzo non poteva entrare, cambi di rotta ed ospedali.

Eppure, quel tempo che fuggiva rapido fu perso. E ne fu perso troppo.

Furono persi minuti interminabili e preziosi perché all’arrivo dell’ambulanza gli infermieri entrarono in una casa dove c’era una mamma a termine di gravidanza stesa a terra che si contorceva dal dolore e quasi priva di conoscienza e, invece di soccorrerla con urgenza, dovettero abbigliarsi con tute anti Covid-19.

Furono persi minuti decisivi perché da quello che sembra mamma Susanna aveva una temperatura corporea di 37.6 gradi e non importa se la situazione fosse critica e non importa se un rialzo di temperatura al nono mese di gravidanza sia normale e non importa nemmeno che fino a pochi mesi orsono non si sarebbe perso un attimo.

No, non importa, perché c’è il Covid-19 e dunque gli infermieri, in piena pandemia, non erano pronti per un eventuale rialzo di temperatura: tornarono in ambulanza per vestirsi come se fossero in presenza di un paziente positivo per poi tornare in casa, caricando Susanna su una barella.

C’è il Covid-19, dunque a papà Vincenzo non fu consentito entrare in ambulanza con sua moglie e suo figlio. E non fa niente se fino ad un minuto prima erano tutti insieme in meno di due metri quadrati senza protezioni, non fa niente che la paziente fosse una mamma in gravissime condizioni spaventata per sé e suo figlio, non fa niente se l’unica cosa che la avrebbe potuta calmare in quel momento fosse la presenza di suo marito, sentire le sue forti braccia che la facevano sentire al sicuro.

C’è il Covid-19 e non fa niente che papà Vincenzo avesse la necessità di accompagnare la sua famiglia in ospedale, non fa niente che papà Vincenzo volesse pronunciare parole di conforto e di amore alla sua amata Susanna. No. Non fa niente. Perché c’è il Covid-19.

Il tempo si è fermato per papà Vincenzo la mattina di quel 6 ottobre, la mattina in cui un’ambulanza si portò via sua moglie ed il loro bambino. Per sempre.

Vi avevo detto che questa era una di quelle storie che nessuno vorrebbe mai né sentire né raccontare. Non riesco a non sentire una fitta al cuore mentre le mie dite scorrono sulla tastiera.

Rabbia, sconcerto, sconforto, sfiducia, disperazione è quello che si prova al cospetto di questa storia.

Ma questa vicenda va raccontata perché la conoscenza di tutti di una tale enorme falla in un sistema come il nostro e la condivisione di questi fatti da parte di più gente possibile, possono far cambiare le cose e forse la morte di Susanna e Luigi potrà trovare un senso se anche soltanto una vita potrà essere salvata non ripetendo gli stessi imperdonabili errori.

Smettiamola di pensare una volta per tutte che sia inutile fare qualcosa “tanto non saranno le nostre azioni a cambiare le cose”, perché non esiste niente di più falso.

Le nostre azioni possono creare un effetto a catena positivo, ispirando e coinvolgendo altre persone verso la giusta direzione fino al cambiamento, anche il più piccolo, ma decisivo.

Papà Vincenzo, insieme al suo legale Tommaso Rigamonti, ha messo tutto in mano alla Procura affinché si faccia luce sulla vicenda.

Cosa possiamo fare noi?

Possiamo riflettere e condividere.

Perché nessun’altra mamma muoia insieme al suo bambino per le storture e la disorganizzazione del sistema.

Perché a nessun papà venga strappata la sua vita ed il futuro.

Perché a nessun operatore sanitario venga richiesto di trovarsi in situazioni tanto disperate.

Perché a nessun operatore sanitario venga chiesto o di fatto imposto di intervenire senza protezioni correndo il rischio di un contagio e correndo il rischio di perdere troppo tempo nel salvare una vita.

Perché chiunque si troverà nell’urgenza di dover chiamare i soccorsi possa avere soccorritori pronti per qualunque evenienza e che possano intervenire subito, nonostante la pandemia.

Perché si sensibilizzi chi di dovere a pensare a linee guida più umane, che consentano ad un marito di accompagnare sua moglie nell’ultimo viaggio disperato verso una salvezza rubata senza che debba trovarsi da solo in un ospedale e sentirsi dire che sua moglie ed il suo bambino non ci sono più.

Perché chi di dovere cambi le regole, impedendo che troppa gente muoia sola perché non è consentito fare visite in ospedale. E’ pericoloso? Che si pretenda di renderlo possibile in sicurezza.

Sono un legale e so che non esiste nulla di più asettico ed anaffettivo della legge e delle regole.

Ma quello che stiamo vivendo non è normale, non è conosciuto, ha sconvolto il nostro più intimo modo di essere, di stare insieme e di vivere, lasciandoci in uno stato di incertezza e solitudine destabilizzanti. Tanto destabilizzanti da rischiare effetti irreversibili sul futuro.

Dunque, c’è bisogno di regole nuove, adatte al momento e modellate sulle esigenze umane.

Perchè non si perda più tempo a fare dopo quello che si poteva fare prima. Perché papà Vincenzo possa salire su quell’ambulanza. Perché Susanna e Luigi possano avere almeno una possibilità di vivere. Perché nessuno debba trovarsi più a raccontare storie del genere.

C’è bisogno di contatto: umano, emotivo, di pensiero. C’è bisogno di contatto tra la realtà che stiamo vivendo e le regole per affrontarla. C’è bisogno di contatto tra popolo e governanti, per non avere la sensazione di vivere due verità diverse. C’è bisogno di raccontarci tutto, perché attraverso il contatto non ci si perde di vista e di cuore e non si perde di vista la direzione comune.

Per Vincenzo, Susanna e Luigi. Con il cuore. E con-tatto.

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% Commenti (2)

Salve, sono il papà di Susanna, suocero di Vincenzo e nonno del piccolo Luigi.
Volevo ringraziarla per ciò che ha scritto, ho pianto lacrime che credevo non avere più.
Grazie per aver raccontato la storia di Susanna e del piccolo Luigi, di averlo fatto con un trasporto così tangibile.
Ringrazio lei e tutti quelli che avranno voglia di raccontare questa storia, affinché succeda qualcosa che faccia in modo che non abbia più a ripetersi.
Il dolore, grande già di suo, è amplificato dalla “sensazione” che poteva essere evitato.
Grazie a lei e a tutti quelli che contribuiranno, con la loro voce, affinché tutto questo possa non ripetersi mai più.
Mai più.
Grazie.

Caro, carissimo Francesco, con il cuore le sono vicino e non ci sono parole per esprimerle quello che sento e che vorrei dirle. Non c’è bisogno di ringraziarmi, credo sia un dovere di tutti fare in modo che certe verità si sappiano, per riflettere ed agire verso un cambiamento. Io posso solo abbracciarla da lontano e farle sapere che per qualsiasi cosa può contare su di me e su questa nostra piccola ma unita ed appassionata realtà. Le sono vicina, davvero.
Flavia

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